Capolavori

Capolavori
Conversazioni della buonanotte
Originally posted on 23 January 2011 at 14:59

Eravamo già nel letto con la luce spenta, e abbiamo cominciato a parlare di cinema. E’ capitato incidentalmente, non l’abbiamo mica fatto apposta. S. diceva: “Loro sono dappertutto. Io lo so. Ma non mi avranno.” “Ma chi?” “Loro!”.
“Ti ricordi L’Esercito delle dodici scimmie? C’era un barbone che aveva una conversazione dello stesso genere con Bruce Willis, ti ricordi? Quello che si strappava i denti perché credeva ci fosse una microspia negli incisivi.”
“Terry Gilliam è un genio. Hai visto Brazil? “Certo Brazil è un capolavoro, L’Esercito delle dodici scimmie non è a quel livello, no?! “No, certo. Brazil è il capolavoro di Terry Gilliam, i film che ha fatto poi sono stati sempre un po’ deludenti, forse perché dopo un film come Brazil, ti aspetti sempre qualcosa del genere, o a quel livello. Però ci sono registi che hanno fatto bei film, tutti diversi, e tutti belli.”
“Sì. Per esempio i fratelli Cohen.” “Sì. O Clint Estwood.” “Però non diresti capolavoro di nessuno dei film dei Cohen. O di Clint Estwood.” “No.” “Mi chiedo che caratteristiche deve avere un film per farci dire: E’ un capolavoro.” “E poi c’è Kubrick. I film di Kubrick sono tutti capolavori.” “Io Brazil lo associo sempre a Il Cielo sopra Berlino di Wender. Forse per quell’immagine di lui che sogna di volare, non ha anche una specie di armatura? Ecco, mi ricorda gli angeli di Wender.”

“Ecco per esempio Wenders ha fatto quel capolavoro lì e poi ha cercato di rifare sempre lo stesso film per il resto della sua vita. E non c’è più riuscito.” “Ma no dai, forse ci ha provato per un po’, però ha fatto anche fill diversi, per esempio Paris, Texas(1) . E poi c’è quel film, molto più recente, simile a Paris, Texas dove il protagonista viaggia in auto in panorami desertici alla ricerca del figlio(2), hai presente? E poi il mio preferito, Fino alla fine del mondo.” “No. Piuttosto: devi vedere Apocalypse Now. Devi superare le resistenze che hai nei confronti dei film di guerra, o dei film dove ti aspetti che ci sia violenza, perché ti perdi veramente molto. In Apocalypse now ci sono sequenze incredibili, immagini associate a musica assolutamente imperdibili.” “Diresti che è un capolavoro?” “Sì. Oppure Il dottore Stranamore, la follia visionaria e l’esattezza spaventosa con cui viene descritta una realtà, presentata come parodia, me è tutto vero, sai che adesso India e Pakistan hanno dichiarato di avere armi atomiche? Pensa. Adesso che Stati Uniti e Russia le dismettono, questi le fanno.” “Sì. Pensavo adesso a un altro capolavoro assoluto.” “Di Kubrick?” “Sì.” “2001…” “Sì. Pensavo che oltre alla storia, alla bravura degli attori, alle belle inquadrature, alla perfezione delle riprese, eccetera, probabilmente quello che fa la differenza tra un bel film e un capolavoro è la forza poetica. Deve esserci un aspetto poetico forte, qualcosa che parla a livello inconscio.” “Un capolavoro artistico.” “Sì.”

(1) Paris, Texas, 1984, è precedente a Il cielo sopra Berlino, 1987.
(2) Non Bussare Alla Mia Porta, 2005, con Jessica Lange, Sam Shepard, Sarah Polley, Tim Roth

Portrait of my ex-husband as a suitcase

Portrait of my ex-husband as a suitcase
by Selima Hill

Listen, Lord, I know you want to help,
but please can I have a little suitcase instead,
the sort of little, rather battered suitcase
that’s got old labels all over it,
and little elasticated pouches round the inside
for swimming-goggles, necklaces, blackcurrant-juice;
that waits by the door looking so expectant and adorable
you have to take it with you
every time you go out,
that’ll go anywhere and do anything;
that’s as pink and summery, Lord,
as a summer pudding.

Look, O Lord, I know You’re trying to help,
but You’ve never had to deal with an ex-husband, have You,
so You don’t know what it’s actually like, do You?
Winter, Lord.
I need something I can hold.
And I can’t hold hands with a fall of snow, can I?
And it can’t be hard for someone like You, surely,
to get me a little suitcase to carry around.
And I want it to have two tiny keys, please.
And I want a really good one
that will love me for ever.

Ritratto del mio ex-marito in forma di valigia
di Selima Hill
(Trad. L.D’Incà)

Ascolta, Signore, so che vuoi renderti utile,
ma per favore posso avere una valigetta invece,
tipo una valigia piccola, piuttosto ammaccata
tutta coperta di vecchie etichette,
e piccole tasche con l’elastico all’interno
per occhiali da piscina, collane, succo di ribes nero;
che aspetti alla porta così speranzosa e adorabile
che devi per forza portarla con te
ogni volta che esci,
che venga ovunque, che farebbe qualunque cosa;
così rosa ed estiva, Signore,
come un budino estivo.

Guarda, O Signore, lo so che stai cercando di renderti utile,
ma non hai mai avuto a che fare con un ex-marito, vero,
perciò non sai realmente come sia, no?
Inverno, Signore.
Ho bisogno di qualcosa da poter stringere.
E non posso stringerele mani a una nevicata, no?
E non dev’essere difficile per qualcuno come Te, di sicuro,
procurarmi una valigetta da portare in giro.
E la voglio con due minuscole chiavi, per favore.
E ne voglio una buona per davvero
che mi ami per sempre.

Dream #2

Selima Hill once wrote, “All poetry, is love poetry”

Dream #2
by Laura D’Incà

Candyfloss clouds hanged soft and mellow
and red blue yellow balloons were blown
through the dazzling daylight.

We kissed — so awfully deep kisses
and you pushed me against the door

Just in the middle of the fair
there was a fridge — I saw it

A merciless man called you outside
and in a flash of singing voices
in a windy chorus of gently laughs

A crowd of swallows lifted behind you

Sogno #2
di Laura D’Incà

Nuvole di zucchero filato appese dense e morbide
e palloncini rossi blu gialli soffiati
nella la luce abbagliante del giorno

Ci baciavamo – baci così tremendamente profondi
e tu mi spingevi contro la porta

Proprio nel bel mezzo della fiera
c’era un frigo — l’ho visto

Un uomo impietoso da fuori ti chiamava
e in un lampo di voci in canto
in un coro come vento di risate gentili

Una folla di rondini alle tue spalle [in volo] si levava

Essere soli è

“Bisognerebbe tentare di essere felici, non fosse altro per dare l’esempio.” (Jacques Prévert)

Essere soli è
di Selima Hill (trad. L.D’Incà)

Essere soli è non spogliarsi mai.
Essere soli è indossare berretti da notte.
Essere soli è cercare di prendere sonno
ed essere costantemente interroti
da ragni giganti diretti alla dispensa;
da falene grosse come pipistrelli
che sbattono il loro testolone
contro il mio cuscino;
da pipistrelli il cui piano
è installarsi tra i miei capelli,
da mosconi dall’aria squallida
che si fanno qualche vasca sulla la mia finestra,
e indomiti maggiolini
che provano il tip-tap
a quel punto
tutto quel che voglio è andare a dormire
e sognare una donna – sono io? –
che corre verso te con le braccia dispiegate
in un vestitino al ginocchio che le sta da dio.
Ma no. Non posso.
Devo restare sveglia.
Ogni formica d’Inghilterra è per strada.
Arrivano in file rosse da tutte le parti
e portano greggi di pecore dall’aria truce.

Being single is
by Selima Hill

Being single’s never being nude.
Being single’s wearing hats in bed.
Being single’s trying to get to sleep
and constantly being interrupted
by important-looking spiders
marching off
to the best poison shops;
by moths like bats
banging their fat heads
against my pillow;
by bats whose plan
is to station themselves in my hair,
by mean-looking flies
doing their lengths on my window,
and indomitable old cockchafers
rehearsing their clicketty-clacks
at such a pitch
all I want to do is go to sleep
and dream about a woman – is it me? –
running towards you with her arms outstretched
in a little knee-length dress that suits her perfectly.
But no. I can’t.
I’ve got to stay awake.
Every ant in England’s on its way.
They’re coming in red columns from all sides
driving flocks of ferocious-looking sheep.

Una poesia per Mat Collishaw

Mat Collishaw is an artist and photographer based in London.

Una poesia per Mat Collishaw
di Laura D’Incà

Nella penombra l’uomo, spogliato d’ogni vanità, con lo sguardo insegue immaginate reduci volontà.
Le fate lievi si palesano, luminose emergono, aleggiano e ammiccano; in stalattiti trasparenti rilucendo,
lacrime dall’alto su di lui riversano.
Della buia nudità stupiscono azzurre, mentre l’oro si sparpaglia in pulviscolo sottile.
Vano il tentativo di cattura, si perde in gesti ambigui, nell’eco notturna d’indimenticati traguardi,
ancora non raggiunti.
E nella favolosa danza
il corpo candido di donna è contornato di muschio e bucaneve, giace ed è paesaggio sinuoso, si dispiega in
saliscendi morbidi, si schiude, si appiana, si regala.
L’uomo nel panorama è perduto, le fate in una pioggia d’anemoni svanite.

A poem for Mat Collishaw
by Laura D’Incà

The man in the shadow, deprived of all vanities, is locked onto imagined surviving wills.
Faint fairies reveal, brightly arise, linger and wink; in transparent stalactites shine,
tears from above fall onto him.
From the naked darkness amaze blue, while gold spreads in thin fine dust.
vain the capture attempt, he losts in ambiguous gestures, in the nocturnal echo of unforgotten goals,
still not reached.
And in the fabulous dance
the pure white body of a woman is surrounded of moss and snowdrop, it lays and it is sinuous landscape, it
unwinds in soft rising and falling, it blows, it flattens, it gives.
The man is lost in the landscape, while fairies disappear in a rain of anemones.