Invenzione faraonica a due voci

poesia ispirata all’opera di Nada Pivetta La stirpe, di Laura D’Incà, inclusa nell’antologia Love is, pubblicata a Milano nel 1997

Love is, 1997
Catalogo della mostra collettiva Love is, Milano, 1997


È bello bagnarsi nel laghetto con Te
scendere in acqua con Te
e a Te mostrarmi nella mia bellezza
avvolta in finissimi lini regali,
con un pesce rosso tra le dita.
Vieni a vedermi.

Akenathon
La lampada è spenta. La regina Hatchepsut
l’eterno sonno dorme: nei secoli dimenticata
con le sue regali ambiguità.
Il figlio Ra parlerà agli dei: all’alba l’oro
di Aton si spargerà tutt’attorno. Carezza di
polvere preziosa sulla tua pelle, canteranno
intere generazioni nei secoli la magnificenza
di Nefertiti.
Vieni, per il tempo che dura l’alba,
al mio fianco risplendi.
D’ambra cospargerò i tuoi capelli, vieni. Le mie
mani scorrono sul tuo collo divino, in te l’essenza di
Hator stessa si è rivelata. Le sacre labbra di
Akenathon traboccano di faraoniche delizie, e tu
ne sei eternamente degna.

Nefertiti
Oltre le rive del Nilo, oltre l’eterno sogno,
che le serve di Ra adornino la sposa di Akenathon
di stoffe pregiate e pietre preziose.
Nel luogo in cui il sole riposa
prima di sorgere più splendente ancora,
il mio amore per Akenathon divino
moltiplica nei gesti la grandezza di Ra.
Eternamente esisto
per cantare la divinità del mio Sposo.
Oltre il potere di Thot giungerà la mia
venerazione, eternamente bella
in Amon-Ra, per la gloria di Akenathon.

Invenzione Faraonica a due voci
Nada Pivetta, La stirpe, bronzo, cm 53x24x17
Akenathon, faraone egizio della XVIII dinastia
Hatchepsut, regina egizia, quinta sovrana della XVIII dinastia
Ra, divinità dell'antico Egitto, identificato principalmente con il sole di mezzogiorno
Nefertiti, regina egizia della XVIII dinastia
Hator, divinità egizia, dea della gioia, dell'amore, della maternità e della bellezza
Thot, divinità egizia, dio della Luna, della sapienza, della scrittura, della magia, della misura del tempo, della matematica e della geometria. È rappresentato sotto forma di ibis sacro, uccello che volava sulle rive del Nilo 
Amon-Ra, la divinità più potente nella mitologia egizia, re di tutti gli dei del Phanteon egizio

Cecilia Casanova, Santiago del Cile

Cecilia Casanova è stata la poetessa cilena più riconosciuta della generazione degli anni ’50. Nacque nel 1926 a Santiago, dove apparentemente visse tutta la sua vita, e dove morì nel 2014 all’età di 92 anni, dejando un legado que quedará plasmado en la poesía nacional (Ministeriode las Culturas, las Artes y el Patrimonio, Gobierno de Chile). Teneva una matita sul comodino, “per ogni evenienza”. Incontrò, verosimilmente, Pablo Neruda, e forse furono amici. Non so se si dedicarono reciprocamente dei versi, se si scrissero lettere, né come trascorsero il loro tempo insieme. Riflettendo sul significato dell’amicizia, cercando in rete, Cecilia Casanova fa spesso capolino con “Ni él, ni yo”.

Ni él
ni yo
nos dimos cuenta
que nuestra amistad estaba llena
de recovecos.
Traducirla
habría sido sacrílego.

(dalla raccolta "Estación Termini", Editorial Cuarto Proprio, Santiago del Cile, 2004)
Né lui
né io
ci siamo resi conto
che la nostra amicizia era piena
di complicazioni.
Esprimerla
sarebbe stato sacrilego.

(trad. Laura D'Incà)

Cecilia Casanova

Fonti:
Universidad de Valparaíso, Las Últimas Noticias, 21 de abril de 2014 https://editorial.uv.cl/
Ministeriode las Culturas, las Artes y el Patrimonio, Gobierno de Chile, Literatura nacional despide a Cecilia Casanova https://www.cultura.gob.cl/
Cecilia Casanova, Estación Termini, Editorial Cuarto Propio, 2004, ISBN 9789562603249

Camminare

(Pubblicato per la prima volta il il 22 Settembre 2004)

In città si diventa miopi. Soprattutto se la maggior parte del tempo è sprecata a fissare un monitor. Letteralmente. E metaforicamente. Narcisismo all’ennesima potenza. O si annega, o s’impara a nuotare. Lo studio parte dai panorami più gettonati, da quello che si guarda senza vedere: fotografarlo obbliga a riflettere (Narciso, ancora). Ecco, i marciapiedi. Il percorso, dalla visione egoica (i miei propri piedi), si sviluppa, diventa azione: il camminare. Poi, finalmente, altri passi (dai miei piedi a quelli altrui) che condurranno a un’idea di movimento più allargata.

Camino sobre mis pies, /sin muletas ni bastón, /y mi voz entera es /la voz entera del son. /Camino sobre mis pies, /sin muletas ni bastón […]/ hay que andar, /hay que mirar para ver, /hay que andar […] (Cuando yo vine a este mundo, Nicolas Guillén)

I walk on my feet /without a crutch nor a stick /and my whole voice is /the whole voice of the sun. / You’ve to go, /you’ve to look if you want to see, /you’ve to walk.

(When I came to this world, Nicolas Guillén)

Cammino con i miei piedi, /senza stampella o bastone, /e la mia voce intera
è /la voce intera del sole./ bisogna andare, /bisogna guardare per vedere, /bisogna camminare.

(Quando son venuto al mondo, Nicolas Guillén)

Se una sera d’estate un viaggiatore

Attraverso le Alpi, Agosto 2004

Decido di partire, sola e all’ultimo momento, dopo i tentennamenti del mio abituale accompagnatore, che ultimamente tentenna d’abitudine. La meta: le Dolomiti di Primiero. E’ una domenica mattina d’agosto. In giro quasi nessuno. Rimedio un’ottima colazione da Princi in Porta Garibaldi, pochi altri milanesi superstiti intorno. La Milano-Venezia è sgombra, il cielo terso. Non faccio nemmeno una sosta: una tirata unica fino alla barriera di Mestre. Prendo la statale per Treviso, proseguo in direzione di Feltre. Passo una serie di ville incredibilmente eleganti: è valsa la pena di allungare un po’ la strada. A Feltre imbocco la statale per Fiera di Primiero, mi lascio incantare dal suono del fiume, respiro meglio, mi godo la luce obliqua del pomeriggio filtrata dalla vegetazione, dalle rocce dure del paesaggio. La valle si allarga, si popola. A Imer mi fermo a chiedere da che parte devo andare per il Belvedere di Transacqua. Attraverso un ponte di legno, arrivo. Mi sorprende un temporale improvviso, manco a farlo apposta, alla Fantozzi. Ho la camera 105. Decente. Mi cambio. Esco. La scultrice Nada Pivetta espone il frutto degli ultimi anni di lavoro all’interno del suggestivo Palazzo Someda a Fiera di Primiero. All’inaugurazione gente di tutti i tipi, e un gruppo di musicisti jazz da urlo. Le sculture sono terre e legni a forma di armatura, sono corpi di guerrieri, sono giochi di ombre, di pieni e vuoti, di yin e yang.

La strada per Feltre passa lungo un torrente, il Cismon, in una valle scura e verde. A Feltre la temperatura è più alta di qualche grado. Le mura medievali soffuse nella foschia circostante mi fanno rimpiangere immediatamente il panorama sulle Pale di S. Martino da Fiera di Primiero. Ma tant’è. Sono venuta a recuperare il tentennatore incallito, che arriva con il treno delle 18.26. Grazie a questo imprevisto, il mio viaggio proseguirà più accidententato, prolungandosi tre giorni oltre il previsto e passando per Agordo, per Canazei, raggiungerà il Passo Resia, e mi consentirà di rientrare via St. Moritz, Chiavenna, Lecco. Compirò insomma un giro completo senza tornare sui miei passi.

Da quella che suppongo essere la Malga Canali, si sale per un tratto lungo una sterrata larga e ghiaiosa, il torrente a destra, completamente in secca. L’orario è quello sbagliato: le undici, una brutta luce per le foto; se siamo fortunati saremo al rifugio Treviso per l’ora di pranzo, e questo è un punto positivo. La salita non è eccessivamente ripida. Il mio accompagnatore ha scarpe adatte più ai marciapiedi milanesi che ai sassi aguzzi delle Dolomiti, ma sale come uno stambecco. Io la prendo con calma estrema. Adoro passeggiare quassù e detesto avere il fiato corto. Intorno abeti e larici. Più su, invece, solo pietre e rada sterpaglia, niente più alberi, e un’area ghiacciata. Una meraviglia panoramica. L’arido altopiano delle Pale di San Martino comincia poco oltre. In fondo, domina la Cima del Coro, oggetto di un racconto di Dino Buzzati,”Notte d’inverno a Filadelfia”.
Ci domandiamo tuttavia, a questo punto, dove sia il rifugio, colti, oltre che dal brontolio di stomaco, dal dubbio di averlo mancato. Tornati sui nostri passi scopriremo che il rifugio è, ahinoi, in ristrutturazione.
Sulla via del ritorno incrociamo altri escursionisti, tutti informatissimi del fatto. Alla Malga non ci danno da mangiare, è tutto prenotato. Scendiamo al Cant del Gal. Dopo una mezz’oretta di attesa, possiamo ordinare quello che si rivelerà poi il miglior pranzo della vacanza.

Memories

Grazie a tutti i navigatori che hanno caricato i loro testi. Tra le poesie inviate, ne ho scelte due: la prima ha una grande forza, il linguaggio decisamente non banale, che avvolge il tema (la poesia, la scrittura) d’un chiaro mistero (addirittura sospetto si tratti di una poesia di un qualche grande autore che il lettore ha caricato sul sito per scherzo! Caro SerKum, se così fosse rivelaci la reale provenienza di questo testo!); l’altra, d’una poetica un po’ acerba, ha una piacevole freschezza descrittiva, e il luogo in cui l’autore è stato colto da ispirazione mi è caro in molti modi. A presto!

SerKum

E’ tardi per lasciarsi prendere da bramosie e languidi sospiri.
Le parole sono tutte troppo chiare,
gli arcaismi sepolti, le forme finite.
Stendo un ode al nuovo Poeta, che non ho mai visto…
Volete strade lastricate di vermi brulicanti?
Bruciate i capelli d’oro, i raggi di sole, le candide carni:
non avrete più fumi inebrianti, né eterei veli.
Si straccino i credi, lasciando i se fossi ai piccoli.
E se avremo infiniti orizzonti, impetuosi torrenti e terre remote?
si abbandoni la Poesia.
Se non sarò il Poeta, mi si ricordi perché sono il suo battista.

Maurizio Battello

Milano, 7 Aprile 2004, Parco Sempione, 13.25

Cielo manzoniano, nuvole cumuli si stagliano in un cielo di Provenza;
cespugli in fiore, alberi in silhouette, assieme alle merlate ghibelline.
Prati tosati verde primavera e foglie novelle di ippocastani e platani,
gemme sui rami di cedro e boccioli di rosa lungo il sentiero ghiaietto.

Impiegati in pausa pranzo seduti all’esterno dei rinnovati chioschi;
turisti Japan e venditori Islam alla Porta Barchio del Castello di Sforza.
Adolescenti amoreggianti su panchine di legno, ma in un altro pianeta;
nonni-papà a spasso con i bimbi-nipoti. In volo merli, passeri e storni.

La natura si rinnova, una mandarina duck nuota nel laghetto di mezzo;
oltrepasso il ponte delle quattro Sirene e mi sento la morte addosso.
incrocio la gatta Rosina ed un fastidioso e basculante piccione che ha
la zampetta monca di due dita, ma spaccato in quattro è il mio cuore!

Tutto attorno vita ed aria solare, mentre il mio spirito sta soffocando!
Ricerco affetto per le mie vene, ho dato finora amore a piene mani.
Chiodo fisso Rossana.
cazzo, ma lei non mi ama!